Giovanni Leo Paglione
Biografia
Nato a Capracotta il 12 giugno del 1917, è vissuto a Campobasso, dove ha operato nel campo della pittura fino alla sua tragica scomparsa avvenuta il 21 maggio 2004.
La sua formazione artistica avvenne in un arco di tempo di oltre dieci anni sotto la guida del maestro Amedeo Trivisonno, nel periodo in cui quest’ultimo affrescò molte chiese molisane.
Avendo particolare attitudine per le arti figurative, G.L. Paglione apprese facilmente l’arte del disegno e le varie tecniche pittoriche. Durante questi anni, vissuti intensamente tra le volte, le cupole e le pareti dei luoghi sacri, egli fece tesoro delle tante esperienze e dei consigli del maestro, che gli consentirono di esprimere, in forma personalizzata, il suo linguaggio artistico permeato di una grande sensibilità cromatica, riscontrabile nelle opere ad affresco e ad olio.
Il maestro Amedeo Trivisonno ebbe particolare predilezione e stima per questo allievo e ciò si desume sia dagli ottimi rapporti che vi sono stati sempre tra loro, sia dalle lettere che gli scrisse durante la sua permanenza in Egitto, dalla città del Cairo.
L’attenzione dell’artista è rivolta anche alla pittura di Marcello Scarano che amava la sintesi dell’impressionismo. L’influsso della pittura di Scarano è presente, infatti, in una parte della produzione artistica di Paglione, ma l’impronta più profonda e duratura è quella del maestro Trivisonno.
La maggior parte delle sue opere sono di ispirazione sacra e si trovano in molte chiese molisane e di altre regioni.
Tra le più importanti nel Molise ricordiamo i dipinti nella parrocchiale e nella Chiesa di S. Maria Assunta a Sepino; nella Chiesa di S. Bernardino a Vinchiaturo; nella parrocchiale di Carpinone; Montenero Valcocchiara, Montelongo, Montefalcone del Sannio, Salcito; nel Convento di S. Elia a Pianisi; nella Cappella di S. Maria di Loreto a Capracotta, nella Cattedrale di Trivento; nella cattedrale e nella Chiesa di S. Antonio di Padova e nella Cappella di S. Giovannello a Campobasso. Tra le opere fuori Regione ricordiamo quelle nella Chiesa di Gesualdo (Avellino); nelle parrocchiali di Castiglione Messer Marino (Chieti), di Guardiabruna (Chieti), di Roio del Sangro (Chieti); nella Chiesa di S. Maria degli Angeli a Pietrelcina (Benevento) e nel Convento delle Suore Immacolatine di Roma.
Nella sua vasta attività artistica occupa un posto di rilievo anche la pittura da cavalletto. Interessanti sono i suoi paesaggi dai toni luminosi, le sue nature morte dalla ricca gamma cromatica e la ritrattistica. Tra i tanti ritratti di Giovanni Leo Paglione sono ricorrenti quelli dei propri famigliari e in questa produzione si coglie l’amore dell’artista per i suoi congiunti.
Tra i primi ritratti troviamo quelli dei genitori in atteggiamento pensoso. Il ritratto della madre lo ripete successivamente con colorazione più densa e con forti accenti chiaroscurali. Bello è quello della nonna intenta a fare la calza secondo un’antica tradizione. In esso è notevole l’effetto della luce che, provenendo da un finestra, crea forti chiaroscuri. Numerosi sono i ritratti della prima e seconda moglie in vari atteggiamenti. Merita particolare attenzione quello della prima moglie con velo e borsetta, dallo sguardo assorto rivolto verso il basso, in cui vi sono effetti coloristici di ispirazione impressionistica. Molto elaborato nel disegno e nel colore è il ritratto della figlia Grazia, seduta in poltrona con lo scialle e con drappeggio rosso sullo sfondo.
Numerosi i ritratti degli altri figli, delle nuore e dei nipoti, di amici e di vari committenti.
Interessante è quello di un pastore di Capracotta, in cui l’artista esprime in forma compiuta il carattere forte del montanaro, provato da una vita fatta di stenti e di sofferenze.
Non mancano gli autoritratti, molti dei quali rappresentano il maestro mentre dipinge. Paglione ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, riscuotendo consensi di critica e di pubblico. Egli riesce a coniugare le doti artistiche a quelle umani, perché è persona semplice, dotata di grande equilibrio e signorilità.
(Corrado Carano)
VOLTI… CHE PENSANO.
I personaggi di Leo Paglione presentano volti che pensano.
In verità, il termine “personaggi” è anche eccessivo, addirittura retorico. In questa produzione artistica si rivelano le sembianze di umanità multiforme, più o meno marcata, ma sempre umanità.
In ogni volto ne rifluisce un frammento, per cui, per averne un quadro completo occorrerebbe metterli tutti insieme, quasi in una composizione a mosaico che giunga a compendiarne le mille forme: serena, gioiosa, esuberante, estetica, dolorosa, enigmatica… ma pur sempre pensosa.
E’una pittura forte quella di Leo Paglione perché esprime pensieri e sentimenti forti .
Fuori e oltre la ritrattistica, che probabilmente rappresenta il meglio della sua produzione, vi compaiono scene e immagini di popolo dai volti appena segnati, dal capo spesso reclino, quasi a nascondere il mistero che si cela in ciascuno, uomo o donna che sia. Volti e folle d’altri tempi come tratti da un romanzo russo dell’Ottocento, in cui le parole non dicono mai abbastanza, perché il senso è oltre le parole.
Non è eccessivo affermare che Leo Paglione rappresenta l’umanità forte di questa terra del Molise, in quei valori e significati che vanno oltre questo tempo e questo spazio e perciò destinata a trasmettere messaggi che non si lasciano imprigionare nelle parole.
Il linguaggio dei segni è essenziale, in taluni passaggi i tratti appaiono solo abbozzati, diviene poi attento nella ricerca dei particolari significativi. Allora il pennello si insinua, come in punta di piedi, alla ricerca del senso di ciascuna storia, di vicende umane che incutono dignitoso rispetto, che attraggono talora, ma che, nel contempo, mantengono la distanza. Quasi a dire che ognuna di queste storie l’artista l’ha incontrata, vi ha in qualche modo partecipato, ma sempre col dovuto riserbo.
(Leo Leone)